È l’esposizione della trama degli Esercizi di stile di Raymond Queneau. Una fabula molto semplice, che Queneau scrive in novantanove varianti stilistiche. Usiamone qualcuna per ripercorrere i passi del nostro Breve corso.
Usa l’analessi:
«Dovresti aggiungere un bottone al soprabito, gli disse l’amico. L’incontrai in mezzo alla Cour de Rome, dopo averlo lasciato mentre si precipitava avidamente su di un posto a sedere. Aveva appena finito di protestare per la spinta di un altro viaggiatore che, secondo lui, lo urtava ogni qualvolta scendeva qualcuno. Questo scarnificato giovanotto era latore di un cappello ridicolo. Avveniva sulla piattaforma di un S sovraffollato, di mezzogiorno».
La prolessi:
«Quando verrà mezzogiorno ti troverai sulla piattaforma posteriore di un autobus dove si comprimeranno dei viaggiatori tra i quali tu noterai un ridicolo giovincello, collo scheletrico e nessun nastro intorno al feltro molle. […]Lo rivedrai più tardi, Cour de Rome, davanti alla stazione di San Lazzaro. Un amico lo accompagnerà, e udirai queste parole: «Il tuo soprabito non si chiude bene. occorre che tu faccia aggiungere un bottone».
L’io narrante:
«Non ero proprio scontento del mio abbigliamento, oggi. Stavo inaugurando un cappello nuovo, proprio grazioso, e un soprabito di cui pensavo tutto il bene possibile. Incontro X davanti alla Gare Saint-Lazare che tenta di guastarmi la giornata provando a convincermi che il soprabito è troppo sciancrato e che dovrei aggiungervi un bottone in più».
Queneau passa poi a manifestazioni di virtuosismo narrativo, utilizzando litoti, metafore, un linguaggio burocratico e il latino maccheronico, parole composte, onomatopee e anagrammi. Narra anche utilizzando vari tempi (anticipando alcune nostre prossime lezioni!). E ci ricorda, insomma, che oltre a suonare il loro strumento (il loro stile) gli scrittori in erba dovrebbero imparare ad essere sinfonici. La parola stile, del resto, deriva dal latino stilus, che era la penna per scrivere. Sappiamo benissimo che il modo in cui Thomas Mann teneva la sua stilus era del tutto differente da modo in cui la teneva Louis Ferdinand Céline, e sappiamo anche che la cosa più difficile e ambita per uno scrittura è conquistare il proprio stile. Una scrittura borgesiana, una chiarezza calviniana, un monologo joyciano, una situazione kafkiana. Quando uno scrittore riesce a creare un aggettivazione del proprio cognome vuol dire che ha impresso sul foglio il proprio respiro.
Ma ce n’è di strada da fare….
Iniziate col chiedervi: ho uno stile? E qual è?
Parole chiave: #analessi, #Céline, #Esercizi di stile, #Fabula, #italo calvino, #Prolessi, #Raymond Queneau, #Thomas Mann
Rubrica: Breve corso di romanzologia, Top post
Scritto da: Deborah Donato
Credo che inzialmente il problema principale non sia scoprire e perfezionare uno stile personale, bensì esercitarsi nella gestione di uno stile trasparente, improntato sul “mostrare”: un “non-stile”, appunto. Solo in seguito – molto in seguito – si potrà tentare di stupire i lettori con diversi registri linguistici, figure retoriche ardite, effetti speciali a quant’altro ;)
Mi piaceSenza dubbio lo “stile trasparente” è un obiettivo imortante, direi prezioso. Ma non penso ci sia una ricetta giusta per ogni penna. Alcune penne sono decisamente ingombranti, prima di mostrare le cose, mostrano se stesse, il loro respiro, le loro scelte linguistiche. A volte, ciò disturba, altre è segno di grande talento.
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