Una volta trovata la fabula, è il momento di narrarla. Chi la narra? La domanda sembra banale: «Noi» rispondiamo pronti.
In realtà, fra l’Autore (voi in carne ed ossa) e il lettore, sta un terzo incomodo: il Narratore. Bisogna tenere a mente che perfino il Marcel della Recherche non era Marcel Proust, ma era un’entità diegetica funzionale al racconto. Spogliatevi dei vostri panni e decidete chi sarà il Narratore della vostra storia, cioè il punto di vista del vostro racconto, la focalizzazione della vostra “fotografia”. Vogliamo un primo piano o una panoramica, un grandangolo o un particolare, una prospettiva laterale o dall’alto?
Questo è l’incipit de L’educazione sentimentale di Flaubert. Dove si trova il narratore? Guarda la scena, ma non è nella scena. Siamo in presenza di quello che in narratologia viene definita una focalizzazione zero o narratore extradiegetico. In parole spicciole, se scegliamo di scrivere la nostra storia in terza persona, il narratore non è rappresentato fisicamente all’interno del racconto, è una voce. Questa voce, a sua volta, può essere personificata (e di tanto in tanto dialoga direttamente con il lettore e prende anche posizione agli eventi narrati) oppure impersonale (assolutamente trasparente, come se l’opera si fosse fatta da sola, diceva Verga).
Se optiamo per la terza persona, dobbiamo anche capire se ci troviamo davanti ad un narratore onnisciente o ad un narratore che, pur essendo esterno, non conosce i pensieri e i conflitti dei personaggi, ma si limita ad essere un testimone della scena.
Siamo in una scena ben nota de I promessi sposi: Don Abbondio vede i bravi. Il narratore onnisciente ci comunica i pensieri e le emozioni del suo personaggio. Usa verbi che ci fanno comprendere che il narratore conosce quell’Egli (Don Abbondio) come le sue tasche: ispiar, sovvenne. Il narratore manzoniano è talmente onnisciente che non solo sa perfettamente ciò che alberga nel cuore dei suoi personaggi, ma sa molto più di loro. Siamo in presenza di un narratore esterno personalizzato, che fa capolino nella sua storia e cerca il dialogo con il lettore.
Volete gestire così la vostra storia? Vi volete arrogare lo scomodo, ma anche esaltante, compito di essere il Deus ex machina? Prima di assentire con entusiasmo, tenete a mente alcune controindicazioni. La prima, mi pare ovvio: non siete Manzoni. Superato questo inconveniente, veniamo al dunque: questo narratore onnisciente è un filtro fortissimo tra la storia e il lettore. Il vostro lettore non entrerà mai in contatto con i vostri personaggi se non attraverso l’intercessione di questo narratore. Conoscerà i loro tremiti del cuore, attraverso ciò che lui riporta. Insomma, il rischio è che il narratore onnisciente “congeli” l’emotività del testo, si situi in un iperuranio non toccato dalle vicissitudini dei propri personaggi. Il pericolo è che vi sia anche una distanza abissale fra il mondo rappresentato dalla voce che narra e il mondo dei suoi personaggi. È quanto vi hanno fatto studiare a proposito del meraviglioso Addio ai monti, talmente lirico e alto che la povera Lucia non poteva esprimerlo.
Se non amiamo questa invadenza del narratore, impariamo da Verga l’arte di eclissarci. Il padre del verismo, infatti, non compare mai in primo piano con i suoi giudizi e utilizza il discorso indiretto libero per uniformare la voce del narratore alla voce dei personaggi.
(I malavoglia).
I pensieri sono di Anna, non del narratore. Un altro maestro di focalizzazione esterna, con un narratore non onnisciente, che si limita a registrare i fatti è Hemingway:
Manuel Garcia salì le scale fino all’ufficio di Don Miguel Retana. Posò in terra la valigia e bussò alla porta. Nessuno rispose. Manuel, in piedi sul pianerottolo, sentì tuttavia che nella stanza c’era qualcuno. Lo sentì attraverso la porta.
“Retana” disse, e stette in ascolto. Nessuno rispose.
“C’è” Manuel pensò. “Certamente c’è”.
“Retana” chiamò di nuovo, e picchiò alla porta»
(L’incontro).
L’utilizzo di lunghi dialoghi e il modo che questo narratore non onnisciente usa per farci conoscere ciò che sta nell’animo dei propri personaggi. La focalizzazione esterna è spesso usata nei romanzi gialli, perché consente di presentare i fatti, tacendo le motivazioni e i pensieri dei personaggi, che saranno rivelate solo nel finale.
Parole chiave: #Ernest Hemingway, #Flaubert, #focalizzazione, #I promessi sposi, #narratore
Rubrica: Breve corso di romanzologia, Top post
Scritto da: Deborah Donato
Grazie per questo post molto chiaro ed esplicativo, in questi giorni sto proprio riflettendo sulla possibilità di cambiare la scelta del tipo di narratore del mio romanzo perché più procedo nella storia più sento la necessità di un narratore meno focalizzato col personaggio e più “osservatore esterno”.
Mi piaceGrazie Lisa, spero davvero di esserti stata utile. Ad ogni modo, la prossima settimana parlerò della focalizzazione interna e, dopo ancora, dell’io narrante.
Mi piaceCosì, spero che le possibilità di scelta, per il tuo romanzo, siano tutte sul tavolo. A proposito, di cosa parla?